La scomparsa di Mons. Varotto

Mons Varotto, fondatore OIC onlusMercoledì 13 gennaio all’Ospedale civile di Padova, ha concluso il suo laborioso ed avventuroso cammino terreno il fondatore dell’Opera immacolta Concezione, il decano dei preti della diocesi per anzianità di ordinazione. Solo da pochi giorni era stato ricoverato in ospedale, ma da parecchi anni aveva conclusa la sua attività ed era curato ed assistito all’interno dell’Opera da lui avviata.

La celebrazione eucaristica di ringraziamento, di suffragio e di congedo, presieduta dal vescovo, sarà sabato 16 gennaio alle ore 10 nella chiesa dell’Opera in via Nazareth, con ripetizione audiovideo per le persone che converranno di partecipare nella vicina Chiesa di san Camillo e nella sala TV dell’Opera stessa. Nel tragitto verso il Cimitero Maggiore di Padova la salma farà una sosta per una preghiera nella Chiesa di San Prosdocimo.

Riportiamo qui sotto il profilo del nostro Socio Fondatore scritto da don Giuseppe Zanon.

“Mons. Antonio Varotto era nato a Bosco di Rubano nel 1913. La famiglia Varotto gestiva un negozio bazar ed insieme osteria al centro del piccolo paese. La mamma Albina, dopo Antonio, ebbe altri otto figli di cui tre divennero anch’essi preti, don Angelo che fu direttore dell’Opera dell’Adorazione e poi arciprete di Villa Estense, don Pietro, parroco di Castelbaldo e poi di san Giuseppe, P. Giovanni dei Padri Bianchi missionario in Africa. Don Antonio venne ordinato sacerdote nella festa dell’Immacolata del 1935.
Nei primi due anni ha svolto il ministero di vicario parrocchiale ai Servi in città ed nello stesso tempo professore di lettere nella scuola per ragazzi che si preparavano ad entrare in seminario ( tra questi c’era mons. Oscar Rizzato). Svolse altri tre anni di cooperatore a Curtarolo. Aveva appena cinque anni di messa quando Mons. Carlo Agostini gli affidò il compito di fondare nel quartiere di Pontecorvo la nuova parrocchia di san Prosdocimo nel 1941: era il parroco più giovane. In tempo di guerra portò a compimento la costruzione della chiesa, della canonica, della scuola materna, del patronato.
Ma questo non bastava: don Antonio era un apostolo della devozione alla Madonna, secondo la spiritualità di Luigi Grignion de Monfort, autore del libro “La vera devozione alla Beata Vergine Maria”. Don Antonio era anche un predicatore ricercato per esercizi, missioni ed incontri spirituali e a bordo della sua vespa girava la diocesi. In questi incontri avvicinava molte persone desiderose di vivere la spiritualità mariana da lui proposta con tanto entusiasmo. Le unì in una associazione e fondò per loro nel 1946 la rivista mariana Respicem Stellam ( che vive tuttora promossa dalla parrocchia delle Grazie di Piove). La tipografia era nello scantinato della canonica e si chiamava con titolo mariano Regina dei Cuori, poi diventata Erredici e tuttora operante in quel di Rubano. Ultimo segno della sua devozione mariana fu la cura che nella villa donata all’Opera a Fiesso d’Artico sorgesse una casa di spiritualità affidata ai padri del Monfort chimata “La Madonnina”.

Gli inizi del suo ministero di parroco coincidono con gli anni della guerra e della resistenza. Nella relazione, chiesta dal vescovo sull’attività svolta durante la guerra, Don Antonio è molto riservato e scrive: “il Clero della parrocchia ha fatto la carità ai prigionieri inglesi”. Di fatto molti di questi, che erano fuggiti dai campi di reclusione per non essere inviati in Germania, trovarono ospitalità nella soffitta e negli scantinati della parrocchia. In questa attività coinvolse anche il vicino parroco di Terranegra don Giovanni Fortin, che subì la deportazione a Dachau. Don Antonio restò sulla breccia, il cappellano don Lorenzo Ronzani fu allontanato dal pericolo destinandolo ad una sede lontana. In quegli anni aveva dato ospitalità nello scantinato alla stamperia di un certo Zanocco che tra l’altro stampò un libro clandestino. Sotto il titolo “Le avventure di Pinocchio” portava una traduzione di un testo tedesco contro Hitler.
Dal 1946 al 1957 ebbe come cooperatore un giovane prete di grande sintonia spirituale, don Guido Galeazzo.
La svolta nella vita di don Antonio avvenne quando nell’estate del 1955 ebbe a seguire per la parte spirituale un corso prolungato di formazione delle ACLI, che era guidato da una responsabile di nome Nella Berto. Lei in quel momento si occupava particolarmente delle domestiche, che arrivate all’età della pensione, si trovavano sole e abbandonate. Il problema interessò don Antonio che affiancato dalla Sig. Berto progettò una riposta concreta al problema. Già l’anno successivo dava avvio in un terreno adiacente agli ambienti parrocchiali alla prima casa “Villa san giuseppe”, che diede ospitalità a diciotto domestiche anziane. Era l’inizio di quella che sarebbe stata l’Opera Immacolata Concezione. Nel 1961 rinunciava al compito di parroco per dedicarsi completamente a questa nuova attività, accompagnato dalla dedizione e competenza della Berto, con la benedizione del vescovo mons. Bortignon, ma senza alcun impegno da parte della diocesi. Così i passi in avanti, i rischi, i problemi che lo sviluppo crescente dell’Opera comportavano erano affidati da don Antonio alle mani della Madonna, in cui aveva posto tutta la sua fiducia e a cui aveva offerto tutta la sua vita.
E appare qui tutta la fantasia di Dio che fa di un uomo spirituale, di un devoto della Madonna, l’imprenditore di una gigantesca impresa sociale, nello spirito della carità cristiana. Oggi l’Opera si sviluppa in nove centri nel Veneto, con circa 2200 ospiti e circa 1400 dipendenti. Don Antonio faceva fatica a riconoscere come sua creatura l’attuale realtà, che era partita con un gruppo di persone unite da una forte motivazione spirituale e in uno spirito di famiglia, ed aveva necessariamente assunto le forme strutturali richieste dalle dimensioni dell’Opera, dalle leggi e dalle cambiate condizioni sociali. Ma aveva ceduto con fiducia al altre mani la continuazione dello spirito e della intuizione che lo avevano spinto ad iniziare tale opera. Così era rimasto col titolo di Presidente emerito, lasciando al prof. Angelo Ferro il compito di condurre l’Opera a nuovo frontiere.
Nel 1981 aveva ricevuto un piccolo riconoscimento col titolo di monsignore, cappellano del Papa. Ha ricevuto anche molti altri riconoscimenti civili, ma la vera ricompensa, quella per cui ha farticato l’ha ricevuta oggi incontrando il suo Signore e la Madre Maria , che l’ha guidato e protetto con la sua materna mano per tutta la vita.”

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